Nell'agosto del 1859 la velocissima e lussuosa clipper inglese si schiantò contro gli scogli al largo del Galles. Una tragica storia tra gesti di eroismo e grandi tesori sommersi

La Royal Charter era una enorme e lussuosa clipper a vapore di 2719 tonnellate, lunga oltre 100 metri, con tre alberi e un lumaiolo.

Della Royal Charter si diceva che abbinava tutti i vantaggi del clipper a vela  con quelli del piroscafo: era infatti caratterizzata dalla linea affusolata e veloce dei clipper, con una lunghezza di circa 7 volte rispetto alla larghezza e allo stesso tempo lo scafo di ferro.

Si trattava di fatto di un vero e proprio ibrido fra i grandi velieri di legno del passato e i piroscafi di ferro del futuro.

Le macchine a vapore erano utilizzate solamente quando non c'era abbastanza vento, ma la possibilità di usare questa forma di propulsione alternativa permetteva di garantire una traversata molto rapida dalla Gran Bretagna all'Australia.

Il viaggio fino a Melbourne  in soli 59 giorni rappresentava per l'epoca un record imbattibile.

La Royal Charter era stata progettata inoltre per garantire ogni comodità ai passeggeri; secondo le pubblicità dell'epoca aveva cabine inimitabili in ogni classe.

I biglietti di prima classe costavano carissime, mentre quelli di terza erano abbondantemente sopra la media del tempo.

La nave fu varata nel 1855 e, nel suo viaggio inaugurale, partì da Plymouth in Inghilterra con lo scopo di raggiungere Melbourne in Australia in soli 60 giorni. Solitamente la tratta di ritorno, che passava da Capo Horn, era leggermente più lunga.

Come in ogni occasione, quando abbandonò Melbourne il 26 agosto 1859, la Royal Charter aveva a bordo passeggeri di ogni sorta.

In terza classe risiedevano numerosi cercatori d'oro che stavano tornando dalle loro famiglie in Inghilterra dopo avere fatto fortuna.

La prima classe invece era territorio di uomini e donne d'affari, come ad esempio la signora Foster, un'albergatrice che si diceva portasse con se denaro in contanti per oltre 5000 sterline.

C'era poi a bordo l'inquietante presenza di tale Samuel Henry, un gioielliere copletamente pazzo che trascorse tutto il viaggio richiuso nella propria cabina sotto stretta sorveglianza.

La nave quindi trasportava complessivamente 390 passeggeri, fra cui numerose donne e bambini, oltre a 112 uomini che componevano l'equipaggio.

Il viaggio verso l'Inghilterra fu decisamente più veloce del solito.

L'Old Head of Kinsale, un promontorio dell'Irlanda meridionale, fu raggiunto all'alba del 24 ottobre e nel suo porto poterono sbarcare 14 passeggeri.

Nel primo pomeriggio la Royal Charter navigò al largo di Holyhead, nel Galles settentrionale.

Il tempo peggiorò e si levò un forte vento da sud-est, ma nulla lasciava presagire l'imminente arrivo di una violentissima tempesta.

Alle 21 la nave era talmente vicina alla Baia di Liverpool che molti parenti dei passeggeri avevano ricevuto i telegrammi che ne preannunciavano l'imminente arrivo.

Alle 22 il forte vento si trasformò in tremenda burrasca. In realtà nemmeno questo sarebbe stato un grosso problema, considerando che la Royal Charter era una nave molto robusta, ma il vento a questo punto girò e iniziò a soffiare da nord-est.

Questo repentino cambiamento di direzione, unito alla violenza delle raffiche, spinse il clipper verso la costa rocciosa, che distava meno di 5 miglia.

In preda alla disperazione il capitano Taylor cercò di operare una manovrà di dietrofront per tornare nella relativa sicurezza del Mare d'Irlanda, ma le macchine dell'epoca non erano abbastanza potenti e il vento era troppo violento per riuscire a sfruttare le vele.

Taylor ordinò quindi di lanciare i razzi di richiesta di aiuto, e inoltre di accendere delle luci azzurre per segnalare che la nave era in grande pericolo: putroppo in quella terribile tempesta non c'erano possibilità di ricevere soccorso.

Quella notte, sulle coste dell'Inghilterra e del Galles, affondarono almeno 155 navi.

Verso le 22:30, quando la Royal Charter era solamente a tre miglia da terra, il capitano Taylor ordinò di gettare le ancore, ma nemmeno questo arrestò la lenta deriva verso la costa.

Intorno all'una e mezzo del mattino il cavo dell'ancora di sinistra si spezzò e un'ora dopo si ruppe pure quello dell'ancora di dritta.

A questo punto non era più possibile scongiurare l'impatto con gli scogli e tutte le persone presenti a bordo si prepararono all'inevitabile.

Alle 2 e mezzo il capitano ordinò di tagliare gli alberi per cercare di ridurre la spinta del vento; durante questa delicatissima operazione i passeggeri furono mandati sotto coperta per evitare che fossero feriti dai pezzi di legno che cadevano.

Un'ora dopo circa la nave si incagliò. Il capitano annunciò che si erano arenati su un tratto di costa sabbiosa e che la marea era in calo.

Ordinò quindi di attendere l'alba, nella speranza che tutti potessero mettersi in salvo, ma purtroppo si sbagliava.

La marea al contrario era montante ma cosa ancora più grave, tra la nave e la riva c'erano tanti pericolosi banchi di scogli.

Nel frattempo la furia della tempesta aumentava senza sosta, e lo scafo della nave iniziò a sbattere sugli scogli.

In questi tragici momenti un coraggioso marinaio di nome Joseph Rodgers si offrì di provare a portare a riva un cavo.

Si calò lungo il fianco della nave nell'acqua ribollente e incredibilmente riuscì nel suo intento, grazie soprattutto all'aiuto degli abitanti del luogo accorsi ad aiutarlo.

Sul cavo venne quindi montata una cosiddetta "sedia del nostromo" e l'equipaggio si preparò a sbarcare donne e bambini con questo sistema un pò precario ma funzionale.

La prima ragazza a cui fu offerta la possibilità di essere tratta in salvo però rifiutò di salire sulla sedia. Il suo posto venne quindi preso da alcuni marinai, i quali più tardi dissero di avere ricevuto l'ordine di provare a tendere un secondo cavo, che però nessuno vide.

Purtoppo però, proprio quando fu ordinato alle donne e ai bambini di salire sul ponte per effettuare lo sbarco, la nave si spezzò in due, separandoli di fatto dall'unica speranza di salvezza.

Probabilmente la nave cedette attorno alle 7 del mattino, considerando che tutti gli orologi recuperati erano fermi tra le 7:20 e le 8.

Alcuni fortunati aggrappati ai resti dell'imbarcazione  riuscirono miracolosamente a mettersi in salvo.

Da riva la gente formò una catena umana per cercare di recuperare i pochi superstiti. 28 abitanti del vicino villaggio parteciparono coraggiosamente alle operazioni di salvataggio, nonostante l'estrema pericolosità e la possibilità reale per i soccorritori di essere travolti dalla furia del mare.

Purtroppo l'impatto contro le rocce fu davvero violentissimo e per la maggior parte dei passeggeri non ci fu nulla da fare: si contarono infatti solamente  41 superstiti, tutti uomini, fra cui 18 marinai.

Il capitano Taylor e tutti i suoi ufficiali erano compresi fra le vittime e chi si mise in salvo lo fece grazie al cavo teso tra la nave e la riva.

Le donne presenti sulla nave probabilmente furono intralciate dagli indumenti molto ingombranti dell'epoca.

Tra i miracolati si parlò molto di tale James Dean, un fortunato giovane cercatore d'oro di Wigan che incredibilemtne dormì per tutta la durata della tempesta, e si svegliò solamente quando la nave si spezzò in due; non sapeva nuotare, ma si aggrappò disperatamente a un pezzo di legno che gli capitò sotto mano e fu scagliato direttamente a riva.

Per quanto riguarda il recupero dell'oro, un agente della dogana accorse immediatamente sul posto e prima che scendesse la notte giunse anche da Liverpool la guardia costiera per proteggere il relitto.

Nonostante questo, i racconti popolari narrano che quella notte molti abitanti del villaggio si arricchirono con i tesori ritrovati sugli scogli.

Ben quattro persone furono processate per sciacallaggio e tutte le case della zona vennero perquisite approfonditamente, ma non si scoprì quasi nulla.

Le operazioni di recupero cominciarono subito ma si rivelarono decisamenle difficoltose: la camera blindata infatti si era disintegrata nell'impatto e il tesoro era sparpagliato su una vasta zona.

Nonostante tutto una buona parte dell'oro fu ritrovata nel giro di alcuni mesi, ma quanto di questo facesse parte del carico ufficiale e quanto di proprietà privata è impossibile da stabilire.

Le operazioni di recupero continuarono fino al 1875, ma ancora negli anni Settanta e Ottanta le squadre di subacquei che esploravano il relitto trovavano ancora qualche moneta d'oro.